Forse già nel VI secolo a.C. Terracina era entrata nell'orbita di Roma: viene infatti menzionata nel primo trattato tra Roma e Cartagine, riportato da Polibio. Alla fine dello stesso secolo fu tuttavia occupata dai Volsci, che le diedero il nome di Anxur, come riporta Plinio. Riconquistata dai Romani nel 406 a.C., nel 329 a.C. divenne colonia romana, con il nome di "Colonia Anxurna". Nel 312 a.C. vi passò la via Appia, che collegava Roma con Capua e la città crebbe di importanza, cominciando ad espandersi nella pianura, in collegamento con lo sfruttamento agricolo del territorio, mentre la città più antica venne progressivamente trasformandosi in zona monumentale. Importanti trasformazioni urbane avvennero sotto Lucio Cornelio Silla (inizi del I secolo a.C.), al quale si devono la costruzione del teatro e la ricostruzione in forme scenografiche del tempio di Giove Anxur sulla cima del monte Sant'Angelo. Tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C. si ebbe la ricostruzione del "Foro Emiliano", che fu pavimentato da un magistrato locale della famiglia degli Aemilii e dotato di portici e di nuovi edifici civili e religiosi. All'epoca di Traiano si deve il taglio del Pisco Montano per un altezza di 128 piedi romani (37,88 m), che permise il nuovo tracciato della via Appia, e la ricostruzione del porto. Agli inizi del V secolo, l'ultimo intervento cittadino riguarda l'erezione di una nuova cinta di mura che racchiuse anche parte della città bassa.
la nave di aulo saufeio
La nave, naufragata a Ponza su un fondale di 30 metri, sulla cosiddetta "secca dei Mattoni", trasportava un carico di anfore piene di vino. Dai ritrovamenti archeologici e dagli studi di Piero A. Gianfrotta, la nave risulterebbe di proprietà di un certo Aulo Saufeio, mercante, presente a Delo intorno al 100 a.C. e a Minturno vari anni dopo. La connessione con Delo, la piccola isola greca rinomata per il commercio degli schiavi, fa pensare che proprio da questo tipo di merce Aulo Saufeio, ben coadiuvato da liberti e servi, sia a Delo che a Minturno, traesse la parte più cospicua dei suoi guadagni, solo in parte intaccati dal naufragio di questa nave tra la fine del II e gli inizi del I sec. a C.
( ridotto da Mario Mazzoli - Presidente ASSO)
CAMPODIMELE
il paese della longevità
Campodimele, località situata sui monti Aurunci,tra Roma e Napoli, è un paese come molti altri, che ha però una particolarità: degli 850 abitanti,120 hanno oltre 80 anni, 48 oltre i 90 ed alcuni ultracentenari !!! Secondo una ricerca dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nell'ambito del "progetto Monica" tale longevità è dovuta al tasso di colesterolo degli abitanti, inferiore del 50% rispetto alla media nazionale, e alla loro bassa pressione arteriosa, grazie alla loro antica alimentazione: pane fatto in casa e scalogno crudo condito con un filo d'olio di oliva.
I prodotti di un'agricoltura povera, come le gustosissime cicerchie e favette, sembrano perciò essere alla base della longevità degli abitanti di Campodimele, unitamente alla gran qualità di carni e formaggi. Oltre al prodotto simbolo, la cicerchia - una leguminosa apprezzata già in tempi remoti in Medio Oriente - sono ottimi lo scalogno, le lumache del Faggeto, le olive locali, il capretto dei monti Aurunci. Un piatto della tradizione è laina e cicerchie, una pasta fatta in casa con sola farina e acqua, senza aggiunta di uova, condita con le cicerchie cotte con sugo di pomodoro, cipolla, aglio, brodo, e servita con ricotta essiccata di capra. La zuppa di cicerchie, piatto semplice e sano, si mangia solo a Campodimele. Si mettono in ammollo le cicerchie la sera prima, l'indomani si lessano a fuoco lento per un'oretta insieme a prosciutto, aglio e scalogno, e infine se ne versa il contenuto sulle fette di pane aggiungendo mezzo cucchiaio di olio d'oliva per piatto.
ITRI
fra' diavolo
Fra' Diavolo è sicuramente il personaggio nato a Itri più noto al mondo. Il suo vero nome è Michele Pezza, ma deve il suo soprannome ad un maestro che lo apostrofò Fra' Diavolo perché lo faceva disperare e all'abito da frate che la madre gli fece indossare da piccolo come voto per una grazia ricevuta. Fu un temibile brigante che si macchiò di numerosi omicidi, ebbe la grazia arruolandosi come colonnello nelle truppe di re Ferdinado IV, difendendo così la corona borbonica: per questi meriti ottenne il titolo di duca di Cassano. Nel 1806 fu imprigionato dai francesi e impiccato l'11 novembre in piazza del Mercato a Napoli. Aveva trentacinque anni.
GAETA
gaeta tra leggenda e storia
Le origini del nome di Gaeta sono tuttora avvolte nella leggenda. Strabone indicò la sua provenienza dal termine "Caiatas" usato dai pescatori laconi per indicare il sito, con chiaro riferimento all'ampia insenatura del suo golfo. Diodoro Siculo collegò queste terre al mito degli argonauti facendo derivare il nome della città da "Aietes", mitico padre di Medea (figlia di Circe), la maga innamorata di Giasone. Virgilio, nell' "Eneide" (Eneide, VII, 1-4) trovò la sua origine nel nome della nutrice di Enea,"Cajeta", sepolta dall'eroe troiano in quel sito durante il suo viaggio verso le coste laziali. Dante, quasi a significare la storicità dell'Eneide, confermò l'avvenimento (Inferno, XXVI, 92). I primi insediamenti nel territorio di Gaeta risalgono al VIII secolo a.C., ma fu solo nel 345 a.C. che finì sotto l'influenza di Roma. Durante il periodo romano Gaeta divenne un luogo di villeggiatura molto rinomato, frequentato da imperatori, ricchi patrizi romani, da consoli e da famosi senatori dell'epoca. Per favorire la loro venuta fu persino costruita una nuova strada romana, la Via Flacca, più breve rispetto all'Appia
SPERLONGA
origini di sperlonga
La città prese il nome dalle grotte naturali (speluncae) della costa, fra le quali è notissima, per il racconto di Svetonio e di Tacito, quella detta di Tiberio. A Sperlonga (in Praetorio, "cui Speluncae nomen est") Tiberio, mentre partecipava a un banchetto, corse un serissimo pericolo di vita, per esser caduti accidentalmente dall'alto degli enormi macigni, dai quali rimasero schiacciati molti dei convitati e dei servi. Plinio ricorda il "luogo della spelonca", presso la distrutta Amicle e il lago Fondano; e Strabone, descrivendo il medesimo sito, aggiunge: "si aprono qui caverne grandissime e contenenti grandi e ricche abitazioni". In una di tali grotte si annuncia la scoperta di un grandioso gruppo statuario (di Laocoonte?).
SERMONETA
maggio sermonentano
La manifestazione culturale “Maggio Sermonetano Spettacoli in Strada” è nata nel 1996 con l’obiettivo di creare un progetto culturale di sensibilizzazione alle principali discipline artistiche. Tutte le rappresentazioni avvengono nelle strade e nelle piazze del paese con la presenza di laboratori (seminari) realizzati dagli stessi artisti come preparazione allo spettacolo da rappresentare, in maniera tale di avere da parte del pubblico il senso di come esso viene ideato e realizzato. I cittadini partecipano direttamente per ciò che necessita agli artisti. In questa occasione, dal 1996, Sermoneta ha ospitato sia artisti di strada sia artisti che operano nei circuiti teatrali nazionali. La manifestazione si svolge principalmente nei fine settimana di Maggio dalle ore 10.30 alle ore 24.00 con libero accesso a tutti.
PRIVERNO
la cucina di priverno
Tra i prodotti locali fanno spicco i carciofi, squisiti se cucinati alla Giudia nel caratteristico tegame di coccio. I carciofi fanno da base a molte altre specialità, quali ad esempio la bazzoffia, zuppa di pane tipicamente primaverile, con verdure miste. Gustosissima è la falia, un incrocio tra pane e pizza, soprattutto se accompagnata dai broccoletti e dalle salsicce locali. Rinomate le mozzarelle e la carne di bufala; particolarmente saporito è lo spezzatino di bufaletta al coccio. Altre ricette base della cucina privernate sono: le fettuccine all'uovo, le zuppe di legumi, di lumache (ciammuruchelle), di rane (ranunchi); l'abbacchio, le caciotte e ricotte locali. A rendere tutto più appetitoso contribuisce l'olio extra vergine d'oliva delle colline privernati. Anche tra i dolci vi è ampia scelta, dalle ciambelle agli amaretti, particolari le pizzitelle ottenute da una pastella semiliquida a base di farina, acqua, lievito e uva passita, che a cucchiaiate si frigge in abbondante olio; dopo la cottura si passano nel miele.
FONDI
fondi e ercole
Ercole, figlio di Giove, ritornando dalle Spagne, aveva con sè dei buoi di sceltissima razza tolti a Gerione. Giunto nelle campagne circostanti al Tevere, stanco dal cammino, si addormentò lasciando i buoi liberi al pascolo. Qui Caco, il mostruoso gigante figlio di Vulcano che vomitava fuoco, abitava in una profonda caverna, nascondiglio per i suoi furti, alla cui entrata appendeva le teste e le braccia di coloro che uccideva. Uscito in cerca di prede, Caco vedendo pascolare sulle sponde del Tevere gli scelti buoi di Ercole, con destrezza pari alla sua forza ne afferrò alcuni e li trascinò a ritroso nella sua spelonca, poi la chiuse con un sasso che venti paia di buoi non avrebbero potuto rimuovere. Ma il misero ,tradito dai muggiti dei buoi rubati e sapendo di aver a che fare col terribile Ercole, non credendosi al sicuro neppure nella sua caverna, ne uscì per darsi alla fuga. Ercole spiò prontamente i suoi passi e trovatolo nelle campagne dove ora è Fondi, lo assalì e dopo un terribile conflitto lo ammazzò con la sua clava recuperando così i suoi buoi. A memoria perenne del fatto e in ringraziamento agli dei, Ercole fondò la Città di Fondi.
il pirata barbarossa
Nel 1534 si presentò davanti alle coste di Fondi con la sua flotta il terribile pirata saraceno Ariadeno (Khair-ad-Din) Barbarossa attratto da una preda famosa e ambitissima: Giulia Gonzaga vedova di Vespasiano Colonna duca di Fondi, che era considerata la donna più bella di tutta l'Europa cristiana. Giulia, avvertita in tempo del pericolo imminente, si calò nottetempo da una finestra del castello e si rifugiò a Lenola. Barbarossa, rimasto con un palmo di naso, si rifece a modo suo sulle povere popolazioni fondane. I Saraceni tornarono più volte a far visita alle terre fondane e nel 1594 con ferocia particolare.
SAN FELICE CIRCEO
il figlio illeggittimo di Ulisse
Una leggenda racconta che Ulisse avesse avuto da Circe un figlio , Telegono, che la maga inviò ad Itaca per cercare il padre. Partito un po' alla ventura, sulla “petrosa” isola, Telegono stentava a sopravvivere, finché, per la fame, cominciò a saccheggiarne le campagne. Dal canto suo, Ulisse, dopo tanti anni di guai, non voleva più saperne di seccatori, per cui lo scacciò, senza tanti complimenti. Telegono, invece, povero e incompreso, si rivoltò e, inconsapevolmente, uccise il suo punitore, il padre Ulisse. Quando Telegono scoprì di aver ucciso il padre, la dea Minerva gli ordinò di riportarne il corpo a Circe, nell'isola di Eea, dove venne seppellito accanto al compagno di avventure Elpenore.